Intervista a Marina Abramovic

di Rosamarina Maggioni

“The Artist Is Present” è il titolo della performance che Marina Abramovic ha realizzato al MoMa di New York nel 2010. L’obiettivo è stato quello di superare i limiti imposti dal corpo: seduta, immobile e in silenzio, sette ore al giorno, tutti i giorni, per tre mesi, ha osservato 1400 persone negli occhi. Una per una. C’è chi ha resistito per pochi minuti. Chi per ore. Chi ha riso. Chi si è disperato. Con questa performance Marina ha voluto dimostrare la forza delle emozioni che possono scaturire tra due persone, in silenzio, utilizzando lo sguardo come unica forma di comunicazione. 

Altro: Quello che hai realizzato al MoMa è stato incredibile, molte persone si saranno fatte delle domande su questa storia, non credi?

Marina: Certo, la gente si chiedeva come fosse possibile che io stessi seduta sette ore al giorno senza bere, mangiare, orinare. Si chiedeva se ci fossero strani meccanismi dietro questo incredibile sforzo. Nel documentario che è stato realizzato durante lo svolgersi della performance ho voluto dimostrare che non c’è nessun hocus pocus, ma solo una fortissima forza di volontà e una grande preparazione. 

Altro: Alcuni tuoi commentatori affermano che “Marina non sta mai non facendo una performance”. Dunque non esistono barriere tra la tua arte e la vita? 

Marina: Non sono d’accordo con questa affermazione. Troppo generalizzante. Io sono più persone, tutte diverse tra di loro. Esiste la Abramovic personaggio pubblico, ma esiste anche quella privata, che piange di nascosto da tutti, con le sue fragilità e il suo bisogno di essere amata.

Altro: Cosa pensi del mondo dell’arte di oggi, senti di condividerlo?

Marina: Vorrei poter dire di sì, ma non è così. Sono molto stanca dell’intellettualismo e del cinismo che contraddistingue gran parte non solo dell’arte, ma anche della società americana. Tutto il mio lavoro è emozionale, suscitare sentimenti ed emozioni è sempre stato il mio obiettivo: l’arte ti deve prendere allo stomaco, deve arrivare dritta al cuore.

Altro: Parlaci un po’ della tua performance al MoMa.

Marina: The Artist Is Present è uno dei miei lavori con più livelli di significato: la performance si è tenuta nello spazio più difficile del museo, un atrio di passaggio che le persone attraversano per andare alla caffetteria o alla sala cinema del Moma. Io ero immobile in mezzo a questo ciclone di persone, chi sedeva davanti a me poteva farlo per tutto il tempo che riteneva necessario: c’è chi lo ha fatto per sette ore, cioè l’intero orario di apertura del museo. Volevo dimostrare che la performance è arte del vivente, essenzialmente immateriale: non la puoi toccare come un dipinto o una scultura, ma la puoi vivere. Soprattutto attraverso lo sguardo, porta dell’anima. Elemento fondamentale di questa immaterialità è il silenzio. Bisogna rivalutare l’importanza del non sprecare le parole. Spesso parliamo solo per il gusto di farlo. Eppure la comunicazione non verbale è più vera, profonda, onesta. Tutto il tuo corpo comunica: gli occhi, la pelle, le mani. Il silenzio cambia l’intero essere e il modo di percepirlo dall’interno. Questo lavoro ha cambiato la mia vita, cosa che appartiene a tutto il mio lavoro: l’arte cambia me stessa, non sono io a cambiare l’arte. Dopo ogni mia performance, niente è più come prima. Il mio lavoro, oggi, è incentrato sul dono, sul darsi. In un muto scambio. Perché è stato grazie all’ amore del pubblico che ho portato a termine The Artist Is Present.

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